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Inchiesta sulla formazione in Regione Veneto: il non più "presunto" Clan Romano e i controlli low cost dei rendiconti fatti da audit privati

Di Giovanni Coviello (Direttore responsabile VicenzaPiù) Lunedi 13 Marzo 2017 alle 22:17 | 0 commenti

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Nell'ambito della nostra inchiesta sulla «formazione in Regione Veneto, il presunto "Clan Romano" ed Elena Donazzan. 700 mln dei fondi pubblici 2007-2013 in "mano" a consulenze private..», ci sono arrivate, ve lo abbiamo raccontato, ben 12 "diffide" a non pubblicare più e a "cancellare" quanto già pubblicato con tanto di riferimenti documentali ai nomi e ai fatti riferiti. Apposte su pagine fotocopie, a volta mal fatte, l'una dell'altra, sulle diffide c'erano le firme di dodici dei nomi citati nella nostra inchiesta e cioè: Santo Romano, Lara Lupinc, Alessandro Agostinetti, Claudia Bettin, Annamaria Colturato, Alessandro Gallo, Alberto Masut, Marco Giorio, Andrea Rodighiero, Giansalvo Rosana, Massimo Toffanin, Vanda Togni. Scrivevamo allora il 5 marzo: «per Wikipedia, ad esempio, "clan è un termine di origine gaelica (clann) che significa letteralmente figli oppure famiglia, e identifica genericamente un'aggregazione di persone unite da gradi di parentela o di affinità, oppure di comunanza di interessi"...

E aggiungevamo: «I dodici firmatari delle diffide senza documenti a supporto, che smentiscano i nostri, se non sono parenti che nella casa comune si sono scambiati le fotocopie da firmare e spedire in contemporanea, evidentemente formano un'aggregazione di persone unite da gradi non di parentela ma di affinità, oppure di comunanza di interessi", un clan cioè. Se gli interessi che uniscono il clan Romano siano leciti o meno lo deciderà chi magari se ne sta occupando nelle sedi opportune, dopo le denunce arrivate pubblicamente anche sulla scrivania di Luca Zaia. Noi, dopo aver fatto in anticipo i passi che il clan minaccia di compiere contro di noi se non smetteremo di scriverne, quegli interessi ve li racconteremo puntualmente».
Detto, fatto e la nostra inchiesta continua e oggi si sposta sul versante delicato dei controlli regionali della spesa effettuata dai centri di formazione accreditati dal 2007 ad oggi. Molti non sanno che "l'affaire" dei contributi pubblici, a partire dagli anni '90, per la formazione professionale, non e' stato mai adeguatamente controllato dalla Regione.

I motivi sono diversi: carenza di legislazione, impreparazione del personale nell'applicazione di regole, che spesso, proprio perché vengono dagli uffici europei e romani, sono farraginose e poco comprensibili. O, come spesso suggerisce la buona tradizione italiana, troviamo dei funzionari in posti strategici, che aiutano figli, parenti e amici ad aprirsi un ente di formazione a cui veicolare dei soldi pubblici; o dirigenti che diventano tali partecipando ad un concorso regionale, i cui requisiti per accedervi riguardano una sola persona, il dirigente in questione.
Parliamo di storia passata, dei favolosi anni' 90, che con Di Pietro ci hanno fatto indignare. Gli uffici della Formazione del Veneto allora si trovavano nella poco ecologica Marghera, dotati di lunghi ed interminabili corridoi, in Via Paolucci, dietro la stazione FS di Mestre.
Gli uffici erano frequentati già allora da Santo Romano (a dx nella foto con l'assessore suo referente attuale Elena Donazzan, ndr), giovane calabrese di Reggio Calabria, che era segretario particolare del forzista Cesare Campa, dal 1995 al 2000 assessore alla Formazione della prima Giunta Galan, e che si impegnava allora ad apprendere il mestiere di futuro dirigente regionale.
Il primo manuale per controllare la spesa pubblica dei contributi della formazione viene adottato dal Ministero del Lavoro solo nei primi mesi del 2000, con un nome importante "Vademecum FSE per la gestione dei fondi della formazione professionale" e da allora i "tecnici" regionali di primo ed ultimo "pelo" non avrebbero più avuto bisogno dell'aiutino che consigliavano o ricevevano. Un vademecum che avrebbe cancellato finalmente, almeno nelle intenzioni, le dichiarazioni sostitutive dei documenti contabili esibite dagli enti beneficiari, a tonnellate, per giustificare le spese di danaro pubblico.
Ma come avveniva allora il controllo delle spese degli Enti dopo il 2000? Gli uffici regionali, dotati di un numero esiguo di impiegati, provano per il programma 2000 - 2006 a farsi aiutare da società di revisione esterne. Santo Romano, dirigente in "rodaggio" alla Formazione dopo una solida esperienza alla Direzione Lavoro propone un bando, nel 2008, per delegare ad una società esterna la verifica dei rendiconti di spesa per il 2007 - 2013, anche in considerazione del fatto che gli uffici regionali erano in ritardo di quasi cinque anni nelle verifiche, cosa che poteva andar bene agli enti, ma non alla trasparenza.
I soldi per questo servizio sono stanziati dall'assistenza tecnica FSE (Fondo Sociale Europeo, il fondo che viene utilizzato per assumere i consulenti di Veneto Lavoro). Ma diversamente dalle laute paghe degli incarichi dei professionisti, Romano assegna, per far "risparmiare" la regione, un appalto di circa 1.080.000 euro e nomina componente della Commissione di valutazione della gara il "fido" Alessandro Agostinetti, suo ex collega alla Direzione Lavoro. L'appalto lo vince al ribasso la lombarda Iter Audit srl, che successivamente in data 13 settembre 2013 viene posta in liquidazione ma che comincia il suo lavoro nell'autunno del 2009.

Il contratto firmato con la Regione prevede i tempi e le modalità di verifica dei rendiconti di spesa dei corsi di formazione finanziati. Leggendo il capitolato d'appalto la prima cosa che balza agli occhi anche di un non "vedente" è la contraddizione tra le regole da seguire per la gestione e il controllo dei bilanci di spesa delle scuole e i soldi e i tempi assegnati dalla Regione alla società di controllo vincitrice: solo circa 300 euro di compenso per controllare un corso finanziato fino a 100.000 euro e 1.500 euro per "spulciare" un rendiconto di corsi finanziati fino a 2.000.000 di euro. In poche parole in qualche ora si dovevano controllare registri delle attività, fatture e pagamenti per i progetti più piccoli e in qualche giorno i più grandi.

A Iter Audit srl toccava in queste condizioni il ben arduo compito di applicare integralmente i dettami di controllo previsti dalla legislazione in materia, anche perché le disposizioni del bando non prevedevano "troppi controlli". La prova del nove di queste difficoltà, impossibilità?, di controllo si ha nella lettera di convocazione degli enti per la verifica dei rendiconti, inviata per tre anni da Iter Audit, dal 2009 al 2011, per controllare le spese effettivamente sostenute a costi reali: tre pagine di documenti richiesti, che al momento della verifica si "riducevano" tipicamente del 70%.

In questo contesto la regia rimaneva sempre in mano agli uffici di Venezia, in particolare di Massimo Toffanin, che riferiva a Romano, ultimo ad avere la parola.
Gli enti che hanno "beneficiato" di questo controllo "a maglie larghe", più formale che sostanziale, sono molti, grandi e piccoli.

Di alcuni, come Ipea della gestione Florio Rossato, vi abbiamo già parlato nei precedenti articoli di inizio gennaio.
Ora è il momento di riportare in superficie le "stranezze" dei controllori dei soldi pubblici della formazione che polticamente fanno capo all'assessore Elena Donazzan.


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