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Il piano "banca Veneta": 4.000 uscite da Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. La Repubblica: scure sui costi sulla futura Banca del Triveneto o delle Venezie

Di Emma Reda Sabato 8 Aprile 2017 alle 11:52 | 0 commenti

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Da Pop Vicenza e Veneto nascerà un gruppo con meno filiali e personale Tra Tesoro e Antitrust Ue trattativa "spero non oltre giugno", dice l'ad Viola
Inizia un bimestre di grandi negoziazioni tra il Tesoro - azionista prospettico delle ex popolari venete (Banca Popolare Vicenza e Veneto Banca) con almeno due terzi delle quote - e l'antitrust europeo (Margrethe Vestager, commissaria alla concorrenza, ndr), che deve garantire che il piano di ristrutturazione rispetti le norme sugli aiuti di Stato. Ma quel piano, basato sulla fusione dei due istituti "cugini", è da febbraio nero su bianco, e autorizzato per la sua parte dalla Bce vigilante (Danièle Nouy, ndr). La filosofia del rilancio per la banca, che avrà un nuovo nome (è top secret ma i creativi ci lavorano - Banca del Triveneto o Banca delle Venezie tra i più gettonati ma non si esclude un nome meno "geo-politicizzato", ndr-) e sede a Vicenza, sarà digitalizzare i servizi al largo pubblico e tenere un numero ridotto di filiali per i clienti migliori e il credito alle Pmi.

Il piano non cambierà molto nei suoi cardini: potrebbe farsi più severo, se Bruxelles stabilirà che gli obiettivi di crescita annua dei ricavi - piuttosto aggressivi secondo fonti del settore, ma a singola cifra percentuale - sono troppo ambiziosi, e chiederà di limarli, forzando a quel punto a tagliare ancor più i costi. Nella bozza messa a punto da Alessandro Penati (leader del fondo Atlante socio unico delle due banche), Fabrizio Viola (ad a Vicenza e regista della fusione) e i dirigenti di Via XX settembre il calo delle spese operative sarebbe di un 30-35%. Un colpo d'ascia, equivalente a esuberi fino a 4mila degli 11.400 dipendenti divisi nei due istituti.

Anche considerato che un migliaio di lavoratori usciranno per la cessione prevista di alcune controllate - Bim, Farbanca, Prestinuova e i rami esteri di Veneto Banca - sono tanti, forse troppi perché il fondo esuberi possa smaltirli su base volontaria: ma va tenuta a mente la drammaticità della situazione (un quinto dei depositi si sono dileguati), e il fatto che in questi anni di tagli le due venete, con Cariparma, sono le sole a non aver mai ridotto il personale. Ancora nel 2016, chiuso con 3,4 miliardi totali di perdite per i due gruppi, il rapporto costi/ricavi era pochi punti sotto il 100%, il doppio rispetto alla media del sistema.
I rappresentanti dei lavoratori mettono le mani avanti, con nervosismo: «Chiunque pensi ai licenziamenti, che avrebbero inevitabili e drammatiche ricadute in termini sociali, dovrà fare i conti con la mobilitazione nazionale di tutta la categoria e lo sciopero deciso unitariamente da tutto il sindacato», riporta la nota congiunta di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Sinfub, Ugl, Uilca, Unisin.
A Vicenza e a Montebelluna il management spera di evitare l'extrema ratio dei licenziamenti; e sarà più facile riuscirci se i lavoratori accetteranno contratti di solidarietà di importo rilevante e se la procedura di ricapitalizzazione chiuderà entro giugno, affinché il polo nascente possa utilizzare la quota in capo al 2017 di fondi che il governo ha stanziato a dicembre per i fondi esuberi bancari. «L'auspicio è che entro il 30 giugno e comunque entro l'estate massimo si abbia la certezza dell'operazione, quindi si possa velocemente incrementare la fusione, ma soprattutto riprendere a dialogare con i clienti che sono il nostro più importante patrimonio», ha detto l'ad di Vicenza, Fabrizio Viola, a Focus Economia su Radio 24.
Quanto all'aumento di capitale il manager ha ribadito: «Non credo saranno 6,4 miliardi», riferito all'importo massimo stabilito dalla Bce come deficit di capitale per i due istituti. L'entità della ricapitalizzazione, che dipenderà dal livello di coinvolgimento (cosiddetto burden sharing) di soci e obbligazionisti delle due banche. Circa un miliardo di bond subordinati professionali sarà coinvolto nelle perdite, e avrà azioni a concambi "penalizzati" rispetto allo Stato, che dovrebbe fare la parte grande della ricapitalizzazione e avere almeno il 66%. La diluizione di Atlante, che oggi ha il 99% nei due istituti, dovrebbe portare il fondo sotto il 20% nel futuro. Atlante sembra destinato a usare i suoi mezzi residui (1,7 miliardi) non per le nuove azioni venete ma per comprare una dozzina di miliardi di euro di sofferenze delle due banche.

di Andrea Greco, da la Repubblica


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