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I «ricuperi» gestiti dal veneziano Antonio Canova

Di Rassegna Stampa Domenica 29 Gennaio 2017 alle 10:45 | 0 commenti

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di Marco Carminati, da Il Sole 24 Ore

«I francesi non sono tutti ladri. Ma Buonaparte sì». Così si mormorava in Italia alla fine del Settecento. La rivoluzione francese e le campagne militari intraprese da Napoleone in Europa e in Africa attivarono uno dei più colossali movimenti di opere d'arte che la storia ricordi. Un trasloco vorticoso e continuo, che durò dal 1792 al 1815 e che vide coinvolti i Paesi Bassi, l'Egitto, la Prussia, la Spagna, l'Austria e soprattutto l'Italia, nazione saccheggiata a più riprese. Poi, attorno al 1815-1816, si assistette ai viaggi inversi, ovvero all'epopea dei "ricuperi" da parte delle nazioni depredate da Napoleone che pretesero e ottennero (ma solo in parte) il rientro in patria dei capolavori.

A duecento anni dall'avventuroso rientro in Italia dei bottini napoleonici (rientro gestito da Antonio Canova), le Scuderie del Quirinale di Roma celebrano quest'importante momento della nostra storia artistica con una mostra dal titolo Il Museo Universale. Dal sogno di Napoleone a Canova a cura di Valter Curzi, Carolina Brook e Claudio Parisi Presicce. Attraverso prestiti selezionati la rassegna romana mette a fuoco due argomenti cardine di questa variegata vicenda. Il primo argomento è l'avventuroso rientro in Italia dei capolavori partiti per Parigi. Il secondo argomento è la ricaduta positiva che il "sogno di Napoleone" di creare a Parigi un "Museo Universale" ebbe sulla riorganizzazione e sulla tutela del patrimonio artistico italiano dopo la Restaurazione.

In mostra si sono potuti esporre capolavori originali di Raffaello, Perugino, Correggio, Tiziano, Veronese, Tintoretto, Annibale Carracci, Guercino e Reni, partiti per la Francia e rientrati in Italia, esposte accanto a copie antiche di opere che ebbero lo stesso destino. La mostra non ha potuto ovviamente contare su prestiti impossibili come il Laocoonte o l'Apollo del Belvedere Vaticano, ma in rassegna sono giunti i calchi antichi di queste opere, calchi che nelle Gallerie del Papa avevano preso il posto delle statue originali traslocate in Francia. I "furti d'arte" erano iniziati subito dopo la Rivoluzione Francese. La "nazionalizzazione" di beni della corona e del clero, perpetrata inizialmente con il metodo del saccheggio, portò al patrimonio nazionale francese impressionanti distruzioni. La storica abbazia di Saint Denis, sede dei sepolcreti dei re di Francia, venne barbaramente saccheggiata e le tombe reali distrutte. Anche i palazzi della monarchia e dell'aristocrazia vennero massicciamente saccheggiati. Gran parte dei beni artistici, soprattutto dipinti, arazzi, mobili, sculture e argenterie, furono venduti all'asta sulla Place de la Concorde. Per attirare compratori stranieri, gli incanti vennero pubblicizzati anche sui giornali e le vendite dettero buoni risultati.

Ma nell'agosto del 1794 Henri Grégoire denunciò all'Assemblea Nazionale «le distruzioni operate dal vandalismo» e indicò la strada per impedirle. L'apprezzamento per l'arte era una virtù repubblicana, tipica degli uomini liberi, tuonò Grégoire. E le opere d'arte erano ora di proprietà della nazione, dunque era un dovere assoluto conservarle per il bene dell'intera comunità. Jean-Louis David propose di istituire una Commissione per la tutela delle opere d'arte con il compito di stendere un programma a difesa dei beni culturali. Fu durante le animate discussioni tra i membri di questa Commissione che prese corpo l'idea di creare un grande "Museo Universale"nel Palazzo del Louvre. Al Louvre erano già stati portati i quadri fino ad allora conservati a Versailles (Gioconda di Leonardo compresa). Attorno a questo nucleo sarebbe nato il Museo, subito enormemente incrementato dai saccheggi legati alle compagne militari di Napoleone.
Il 20 settembre 1794 il sottotenente Jean-Luc Barbier inviò a Parigi la prima spedizione di quadri dai Paesi Bassi (tra cui figurava il celebre polittico dell'Agnello Mistico di Van Eyck). Tra il 1796 e il 1798 toccò all'Italia cadere nel mirino dei francesi. I musei e le chiese di Milano e di Monza, le raccolte di Modena, Parma, Bologna, Ferrara, Verona e Mantova furono i terreni di razzia. E poi toccò a Roma e allo Stato Pontificio e al Granducato di Toscana (il re di Napoli Ferdinando IV riuscì invece a gabbare Napoleone mettendo in salvo in Sicilia alcuni capolavori delle sue raccolte). Mentre Napoleone metteva a sacco l'Italia e spediva le opere d'arte via mare e via fiume verso Parigi, nella capitale francese Dominique Vivant Denon lavorava al riordino del bottino di guerra e alla costruzione del Musée Napoleon nel Palazzo del Louvre, contribuendo a gettare le basi della museografia moderna.

Nel 1815, però, la stella di Napoleone tramontò. E alla fine del 1815, proprio alle porte del Louvre, si presentò lo scultore Antonio Canova, incaricato da papa Pio VII Chiaramonti di "ricuperare" i tesori italiani sottratti negli anni precedenti dai francesi. Canova si mise al lavoro il 2 ottobre 1815 per asportare le opere appartenenti al Papa. Fuori dal Louvre i parigini assistettero indignati al deflusso delle opere d'arte tentando di ostacolarlo, ma picchetti e baionette militari scoraggiarono i civili ad andare oltre. Canova fece redigere una nota molto dettagliata di tutti gli oggetti prelevati dal Louvre (con tanto di indicazione del giorno del prelievo). Nell'elenco divise le opere a seconda della loro destinazione finale a Roma e nello Stato Pontificio. Fu talmente efficiente in questo suo lavoro di imballo da guadagnarsi il sarcasmo di Talleyrand, che invece di "Monsieur l'Ambassadeur" lo ribattezzò perfidamente "Monsieur l'Emballeur" (l'imballatore). Mentre Canova lavorava pro Pontifice, in parallelo gli Austriaci (e in particolare il direttore dei musei viennesi Giuseppe Rosa) trattarono la restituzione delle opere trafugate a Milano, Venezia, Parma, Piacenza e Firenze.

Per le opere destinate all'Italia (Savoia, Lombardo-Veneto, Ducati, Granducato di Toscana e Stato Pontificio) si decise di organizzare un unico grande convoglio. Il 24 ottobre 1815 "un trionfo" di 41 carri trainati da 200 cavalli (peso trasportato 49 tonnellate!) lasciò Parigi sotto la scorta di due squadroni di ulani tedeschi. La destinazione era Milano, per la via del Moncenisio. Giunto nel capoluogo lombardo, il carico venne smistato e proseguì verso le altre località di detinazione.
Antonio Canova non aveva seguito il convoglio italiano, ma si era nel frattempo recato a Londra per ringraziare gli inglesi dell'aiuto fornito al Papato nelle operazioni di recupero: il viaggio di ritorno, infatti, lo aveva pagato Giorgio IV d'Inghilterra. Andò tutto per il meglio? Mica tanto. Sulla strada del Moncenisio, il pomeriggio del 23 novembre 1815, il gruppo del Laocoonte cadde dal carro e lo schianto sul ghiaccio provocò il distacco della parte inferiore della statua. Il Laocoonte venne portato a Roma in pezzi e prima di ripresentarlo in pubblico si dovette lavorar molto di colla.

Leggi tutti gli articoli su: Il Sole 24 Ore, Antonio Canova, Marco Carminati, ricuperi

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